Emozioni a cinque cerchi…

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  • Ultima modifica dell'articolo:28/03/2024
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Un pianeta sezionato in due blocchi contrapposti, eccezion fatta per qualche Stato non allineato, lo schema geopolitico esistente a metà dei Cinquanta; libero mercato contro socialismo reale, e sullo sfondo le Olimpiadi del 1956, organizzate dalla per noi distantissima Melbourne. La XVI edizione dei Giochi, che andò in scena fra novembre e dicembre, nell’estate australiana e in momenti di palpabile tensione, in merito alla crisi dovuta alla nazionalizzazione del Canale di Suez, e soprattutto a causa della feroce repressione dell’esercito sovietico in Ungheria. Una normalizzazione, secondo la gelida terminologia del Cremlino, aspramente criticata da tanti intellettuali italiani, quel desiderio di democrazia stroncato nel sangue dai carri armati.

Scene di guerra, che conobbero un’appendice nella piscina olimpica, in quel che venne ribattezzato “bagno di sangue in acqua”, durante il match di pallanuoto Ungheria – Urss. Il turbolento incontro si concluse sul 4-0 per i magiari, i campioni uscenti che avrebbero bissato l’oro, fra scorrettezze, insulti e colpi violenti tra giocatori, mentre la polizia salvò i sovietici dal tentativo di linciaggio dei tifosi, scesi in maniera bellicosa dalle tribune. Padroni di casa dominanti nelle corsie natatorie, in relazione agli 8 trionfi australiani su 13 gare disputate; su tutti Betty Cutherbert e Murray Rose, che s’aggiudicarono tre ori a testa, mentre il pugile magiaro Lazlo Papp, nei pesi medi, salì per la terza volta consecutiva sul gradino più alto del podio. Gli eredi di Stalin in vetta al medagliere, con 37 ori, tre dei quali (più un argento) appannaggio della ginnasta Larisa Latynina, e due al mezzofondista Vladimir Kuts, vincitore dei 5000 e dei 10000 metri. A ruota americani, “aussie” e ungheresi, con queat’ultimi che si presentarono privi di atleti di livello, fuggiti o morti nei moti insurrezionali. Italiani sugli scudi nel ciclismo, con Ercole Baldini che dettò legge sulla strada, e Leandro Faggin doppio oro in pista, mentre gli schermidori della spada individuale colorarono di solo azzurro il podio, con Pavesi, Delfino e Mangiarotti: un ottimo viatico, in vista delle Olimpiadi a Roma.

La Città eterna quale fondale alla kermesse del 1960; la culla della Dolce vita felliniana, capitale di un’Italia in pieno fermento economico e a trazione Dc. Un’affascinante commistione fra antichità e progresso, subliamata da una carrellata di atleti leggendari, che divennero assai familiari grazie alle immagini offerte dalla Rai. Destarono sensazione gli incontri dei pugili Cassius Clay (futuro Muhammad Alì) e Nino Benvenuti, un afroamericano e un istriano dal favoloso avvenire, rispettivamente oro nei medio-massimi e nei welter. Altra star l’occhialuto velocista piemontese Livio Berruti, che s’impose nei 200 piani, gettandosi sul filo di lana, mentre uno stormo di colombi s’alzò in volo, alla stregua della velocista statunitense Wilma Rudolph, alias “Gazzella nera”, che centrò un’incredibile tripletta aurea: 100 m, 200 e staffetta 4×100. Sovietici davanti a tutti, con 43 ori, facendo incetta di titoli nella ginnastica e anche nell’atletica, seguiti dagli Usa (34), lanciatissimi nel nuoto, e quindi gli azzurri italiani (13 o – 10 a – 13 b), addirittura straordinari nel ciclismo, con cinque allori, e nella pallanuoto, dove il Settebello tornò a trionfare, 12 anni dopo Londra ’48.

L’uomo copertina comparve nell’ultima gara in programma, come tradizione la maratona. Parecchi i partecipanti, fra cui lo sconosciuto etiope Abebe Bikila (foto), sergente e guardia personale del Negus. Senza scarpe, l’africano solcò leggiadro l’asfalto e il selciato di Roma, tagliando in solitaria il traguardo, posto sotto l’arco di Costantino, in 2 h e 15 min. Un’impresa incisa a caratteri cubitali nella storia dello sport, che mise il sigillo sulle “Olimpiadi dal volto umano”, nella speranza di ripeterla a Tokyo, nel 1964, seppur con l’ausilio delle calzature. (4-continua).

Abebe Bikila, durante la maratona alle Olimpiadi del 1960.

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