Emozioni a cinque cerchi…

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  • Ultima modifica dell'articolo:19/04/2024
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Tensioni e minacce reciproche fra Usa e Urss, specie dopo l’installazione dei missili sovietici a Cuba, a qualche decina di miglia dalla costa della Florida. Lo spettro di una guerra nucleare attanagliò il globo, che il 22 novembre 1963 dovette assistere all’omicidio del presidente americano John Fitzgerald Kennedy, a Dallas, ammazzato a colpi d’arma da fuoco, un anno prima dei Giochi olimpici.

La carovana olimpica si spostò invece a Tokyo, per l’edizione del 1964, in ottobre; nella lotta sportiva e di prestigio fra le due superpotenze, stavolta la spuntarono gli americani, imponendosi per 36 ori a 30, potendo contare sugli acuti di Bob Hayes nei 100 metri, Henry Carr nei 200 e del nuotatore Don Schollander, che si aggiudicò 100 stile libero, 400 sl, la staffetta 4×100 stile e la 4×200. Sempre in piscina, l’australiana Dawn Frazier vinse per la terza volta consecutiva i 100 sl, mentre il mezzofondista neozelandese Peter Snell centrò l’accoppiata 800 m e 1500. Il mitico Abebe Bikila dominò ancora la maratona, stavolta con le scarpe, così come il ginnasta azzurro Franco Menichelli acchiappò l’oro nel corpo libero, l’argento agli anelli e il bronzo nelle parallele, e il marciatore istriano Abdon Pamich trionfò nella 50 km. Aria fresca nella ginnastica donne, dove alla sempiterna russa Larisa Lathynina (2 ori), si affiancò la giovane cecoslovacca Vera Caslavska, con tre titoli: di quest’ultima ne sentiremo parlare.

Una manifestazione impeccabile quella nipponica, ma nella memoria collettiva schiacciata dalle due successive. Il turbine del Sessantotto, l’anno simbolo della contestazione giovanile (e pure operaia), toccò i cinque continenti e perciò pure il Messico, la cui capitale s’apprestava a ospotare i Giochi, fra il 12 e il 27 ottobre. Pochi giorni prima, in piazza delle Tre Culture, a Mexico City, un folto gruppo di studenti manifestò pacificamente contro le spese olimpiche approntate dal presidente Diaz, per gli impianti sportivi, finchè un plotone di militari sparò ad altezza d’uomo, causando alcune centinaia di morti. Sgomento e dolore, ma le gare iniziarono comunque; in quelle d’atletica, con l’ausilio dell’altitudine, piovvero record sensazionali, come quelli degli americani di colore Jim Hines nei 100 m, Tommie Smith nei 200 e Bob Beamon nel salto in lungo, il quale atterrò a 8.90 m, migliorando il primato precedente di 55 cm. Da ricordare il loro connazionale bianco Dick Fosbury nell’alto, che brevettò il salto omonimo di schiena, detto “granchio”. Stati Uniti cannibali anche in piscina, sebbene i 100 e i 200 stile li vinse l’australiano Micheal Wendem, e le pari misure a dorso il tedesco orientale Roland Matthers. Splendido il tuffatore italiano Klaus Dibiasi, oro dalla piattaforma e argento dal trampolino, mentre i ginnasti giapponesi Sawao Kato e Akinori Nakayama ottennero in totale sei ori, fra individuali e a squadre.

Campioni formidabili, con gli Usa che superarono nuovamente l’Urss nei titoli (45 a 29), ma i fotogrammi da copertina riguardano i podi; Vera Caslavska, quattro ori, di cui ex aequo con la russa Larisa Petrik, durante l’esecuzione dell’inno sovietico, abbassò indignata lo sguardo, in segno di protesta rispetto all’invasione militare del suo Paese, in agosto, che pose drammaticamente fine a quel barlume di socialdemocrazia, definito Primavera di Praga. Analogoamente, il già citato Smith e il connazionale (bronzo) John Carlos, all’atto della premiazione (foto), si presentarono scalzi e con il pugno guantato di nero, quale simbolo del Black Power e della lotta al razzismo, nel solco dell’Olympic Project for the Human Rights. Sulle note dell’inno, pugni chiusi levati al cielo e capo chino, quale forma di dissenso verso quella nazione che li reputava solo macchine da medaglie, e discriminava le minoranze, su tutte quella afroamericana. Atti di coraggio, che tutti e tre pagarono con l’epurazione sportiva e sociale, sia nella democratica America che nella comunista Cecoslovacchia. Squarci di lugubre Guerra Fredda e di bisogno di diritti civili, a corollario di quelle Olimpiadi insanguinate, ma nel ’72 non andrà di certo meglio (5- continua)

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