Plastica, è ovunque

Rifiuti di plastica su una spiaggia

“Plastica, è ovunque”. Con queste parole comincia il bellissimo spot di Greenpeace dedicato al tema. E come dare loro torto?

Ma prima di iniziare ad affrontare il vastissimo argomento, cominciamo con il definire che cos’è la plastica: un materiale prodotto a partire da sostanze chimiche che provengono dai combustibili fossili, ovvero petrolio, gas naturale e carbone, e le cui caratteristiche principali sono la durabilità, la versatilità e la leggerezza. È proprio per queste proprietà che la plastica è usata praticamente per tutto.

E allora, qual è il problema?

Ce ne sono almeno tre: quanta ne produciamo, per cosa la usiamo, come la smaltiamo.

Produzione. Secondo il WWF, “dagli anni Cinquanta del secolo scorso, con l’avvio della grande diffusione dell’utilizzo della plastica, abbiamo prodotto 8,3 miliardi di tonnellate di plastica”. E la produzione non accenna a diminuire. Anzi, tutto il contrario. La previsione è che la produzione di plastica triplicherà entro il 2050.

Utilizzo. Sì, ci sono ambiti in cui la plastica rappresenta un materiale essenziale e insostituibile, ma altri in cui è decisamente una pessima scelta. L’esempio più lampante è il monouso. Da qualunque punto la guardi, non pare un’idea brillante realizzare oggetti progettati per un singolo utilizzo, quindi creati appositamente per essere gettati, con un materiale destinato a durare per l’eternità. Si stima infatti che il 75% della plastica prodotta dall’umanità sia diventata un rifiuto, ed è ancora tutta lì. Sempre più spesso, persone che puliscono le spiagge dai rifiuti trovano confezioni di prodotti che non sono più in commercio da cinquanta, sessanta, settant’anni. Ancora perfettamente intatte.

Smaltimento. Come smaltiamo la plastica? Beh… in linea di massima, non la smaltiamo. Ben poca di quella che gettiamo viene riciclata, checché ne dicano coloro che la vendono. Sempre più spesso vediamo etichette dichiarare la presenza di varie percentuali di plastica riciclata all’interno dei prodotti che acquistiamo. Vedere quei numeri ci fa sentire meno in colpa, ma di fatto non risolve nulla. Anzi, è solo una scusa per vendere altra plastica; perché, se il 20% di plastica nel prodotto che scegliamo è riciclata, l’80% non lo è.

Quindi, dove finisce la plastica che gettiamo via? Ci sono diverse possibilità:

Negli impianti per il riciclo. Questa è l’opzione più desiderabile, ma purtroppo quella che assorbe la minore quantità di plastica. Sempre secondo il WWF, solo il 9% della plastica che produciamo viene riciclato.

Nelle discariche. In questo caso la plastica viene gettata in mucchi nelle discariche e semplicemente resta lì, continua a esistere.

Nei paesi in via di sviluppo. A questo proposito, vi racconto una storia. Un bel giorno stavo guardando un documentario su come la maggior parte dei rifiuti dei paesi occidentali vengano presi e spediti in paesi più poveri come l’Indonesia, che di per sé produce pochissima spazzatura. C’era quest’uomo che vagava per una delle discariche più grandi del mondo per esaminare i rifiuti e cercare di capirne la provenienza, e ad un certo punto ha raccolto un involucro a me incredibilmente familiare. Era una confezione di pasta sfoglia, della stessa marca che compro io al supermercato. In quel momento ho pensato: “Potrebbe benissimo essere la mia”.

Nell’ambiente. A chi, al giorno d’oggi, non è mai capitato di vedere rifiuti sparsi in giro? In un campo, ai lati delle strade, nei boschi, in spiaggia, oppure galleggiare in un fiume o in mare. Soprattutto in mare, dove esistono delle intere isole di plastica, spinte insieme dalle correnti. Il Great Pacific Garbage Patch, la grande isola di rifiuti nell’oceano Pacifico, ha raggiunto dimensioni così enormi che è ora visibile dallo spazio. Ormai il mondo che ci circonda è diventato un’immensa discarica. Non è solo uno spettacolo deprimente, ma è anche un fenomeno nocivo per la vita. Tutta la vita, anche la nostra. Perché non sono solo gli uccelli e i pesci che muoiono con nello stomaco un bolo fatto di plastica che li uccide da dentro, lentamente e dolorosamente.

Dentro di noi. La plastica, infatti, è anche nel nostro corpo, sotto forma di microplastiche. Si stima che ognuno di noi ingerisca circa 5 grammi di plastica a settimana. E non si può evitarlo, perché sono dappertutto: nella polvere di casa, nel nostro bucato, nei contenitori del cibo e delle bevande, negli alimenti che consumiamo e perfino nel sale da cucina.

Lo so, sembra una situazione disperata, ed è indubbio che senza delle politiche green da parte dei governi di tutto il mondo, si faranno pochi passi avanti. Ma questo non vuol dire che ognuno di noi, nel nostro piccolo, non possa fare niente per cambiare la situazione. Poiché noi, da consumatori, abbiamo un potere enorme sul mercato che sarebbe sbagliato sottovalutare. Noi, con la nostra domanda, possiamo influenzare l’offerta, e dunque decidere cosa viene prodotto e venduto.

Ecco cosa possiamo fare:

Dire no alle bottiglie di plastica. Quando acquistate bottigliette di plastica da cui bere, non solo rischiate di ingerire microplastiche, ma buttate via anche i soldi, perché quello che acquistate, di fatto, non è l’acqua, ma la bottiglietta. Se siete in giro, portatevi dietro una borraccia in acciaio: sono comodissime, e tengono l’acqua fresca, o un tè caldo, per lungo tempo. E poi sono solide e durevoli, quindi durano potenzialmente una vita, se le trattate bene. Per quanto riguarda l’acqua che bevete a casa, si può pensare di installare un depuratore e bere quella del rubinetto, oppure di ricorrere a bottiglie di vetro.

Scegliere prodotti sfusi. Per prendere in prestito un’altra frase dallo spot di Greenpeace: “Quasi tutto ciò che compriamo è avvolto nella plastica, avvolto in altra plastica.” Gran parte della plastica che lasciamo entrare nelle nostre case è infatti costituita dagli imballaggi. Bottiglie di detersivo, pellicole e vaschette che contengono la verdura e la carne, gli affettati, i formaggi, eccetera. Quando si è di fronte a più opzioni, sarebbe dunque preferibile scegliere quella con il minor quantitativo di imballaggio, se non addirittura senza.

Scegliere alternative green. Una maggiore consapevolezza verso il problema della plastica ha fatto emergere, negli ultimi anni, molte alternative green a prodotti che usiamo abitualmente. E, devo dire, a volte basta veramente poco per fare la differenza.

Nel campo della cura personale, ci sono diverse alternative ecologiche che possiamo scegliere: shampoo e balsamo, sapone per mani, intimo e corpo, e anche detergenti per il viso, possono essere acquistati in versione solida. Occupano molto meno spazio negli armadietti del bagno, durano più a lungo e spesso costano come o meno della versione liquida.

Anche gli spazzolini da denti abituali possono essere rimpiazzati da quelli di bambù, oppure da quelli con le testine sostituibili, in modo da ridurre i rifiuti. Così come i dentifrici posso essere acquistati in pastiglie o in crema in barattoli di vetro.

Le spugne con cui laviamo i piatti possono essere sostituite da quelle compostabili o di origine vegetale.

Avere il vostro sacchetto. È vero che nei supermercati non distribuiscono più buste di plastica, ma nei mercati cittadini ancora sì. Se fate acquisti, prendete l’abitudine di dire “no” al sacchetto che vi viene offerto, e usate invece la vostra borsa di stoffa. Ce ne sono di comodissime che potete tenere sempre piegate nella borsetta e tirare fuori al momento opportuno. Vi garantisco che non sarà solo l’ambiente a ringraziarvi, ma anche il venditore, perché per loro quei sacchetti, sommati per tutti i clienti, rappresentano un costo non indifferente.

Se siete interessati e non l’avete già visto, vi lascio il link dello spot di Greenpeace: https://www.youtube.com/watch?v=T3m9jwpFRN4

E, se volete contribuire a fare la differenza, potete firmare la loro petizione per un trattato globale sulla plastica a questo link: https://attivati.greenpeace.it/petizioni/no-plastica/

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