Emozioni a cinque cerchi…

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  • Ultima modifica dell'articolo:30/05/2024
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Ronald Reagan e Margareth Thatcher al vertice politico di Usa e Regno Unito, il riformista Mikhail Gorbaciov numero uno del Cremlino e il Pentapartito di governo in Italia, quando la tecnologica Seul s’apprestava ad ospitare le Olimpiadi 1988. Un’edizione post doppio boicottaggio, che vide la rinuncia solo dei cugini comunisti del Nord, di Cuba ed Etiopia; discutibili si rivelarono gli arbitraggi nel pugilato e in altri sport di combattimento, a smaccato favore degli atleti ospitanti, mentre a livello mediatico e giornalistico, l’evento più atteso si rivelò la finale dei 100 m piani maschili, nel pomeriggio di domenica 24 settembre. Ai blocchi di partenza il gotha della velocità, su tutti l’ipertrofico canadese Ben Johnson e il campione uscente Carl Lewis; colpo di pistola, e Big Ben schizzò come un missile, tagliando il traguardo in 9 secondi e 79 centesimi: primato mondiale polverizzato. Titoloni sui giornali e nei notiziari sportivi, ma tre giorni dopo arrivò la notizia della positività all’antidoping, con susseguente squalifica e cancellazione della sua prova, con l’oro assegnato al Figlio del Vento, da aggiungersi a quelli nel lungo e nella 4×100. A corollario, i notevoli exploit in piscina, sublimati dalle 6 medaglie auree della tedesca orientale Kristin Otto, e dalle 5 dell’americano Matt Biondi, come del resto Greg Louganis ripetè la doppietta di Los Angeles, vincendo nei tuffi sia dal trampolino che dalla piattaforma. Da leggenda il trittico della sprinter statunitense Florence Griffith, che s’impose nei 100 m, nei 200 e nella staffetta 4×100, assaporando attimi di gloria celestiali, quale preludio a un tragico destino. Sospinti dalle rombanti telecronache di Giampiero Galeazzi, i Fratelloni d’Italia Carmine e Giuseppe Abbagnale, insieme al timoniere Peppiniello Di Capua, confermarono l’alloro nel Due con di canottaggio, conquistato in California, altresì l’immenso Pietro Mennea si congedò dalla pista d’atletica, dopo aver partecipato alla quinta Olimpiade. L’ultimo medagliere della Guerra Fredda guardò ad est, in virtù dei 55 ori dell’Urss e dei 37 della Ddr, e con gli Usa solo terzi a 36, mentre la gara di commiato vide il tripudio del veneto Gelindo Bordin, trionfatore nella maratona, che fece suonare per la sesta volta l’inno di Mameli.

Una rassegna olimpica non certo indimenticabile, in attesa di rientrare in Europa, per l’esattezza a Barcellona, ma intanto come un fulmine a ciel sereno, la sera del 9 novembre 1989 vennero aperti i varchi, per il transito da Berlino Est alla zona Ovest. Il passo iniziale all’imminente caduta del famigerato muro, possente simbolo di un continente sezionato in due blocchi contrapposti, quale lascito della Seconda Guerra Mondiale; a breve giro di posta, l’implosione del complesso sistema sovietico, con la nascita di nuovi Stati e gigantesche ripercussioni sociali e politiche, che si avvertirono pure in Italia. Come accennato, la XXV Olimpiade si tenne in Catalogna, nell’estate del 1992, con l’inno dei Giochi composto e cantato da Freddy Mercury (scomparso mesi prima), in duetto con la soprano Monserrat Caballè, e dal titolo Barcelona!. Colori vivaci come in un film di Almodovar, a glorificare le imprese del ginnasta bielorusso Vitaly Scherbo, che inanellò 6 ori, o dell’inglese Steve Redgrave, di nuovo campione nel Due senza nel canottaggio, dopo i successi del 1984 e 1988, al pari del connazionale Linford Christie, senza rivali nei 100 m, mentre Carl Lewis s’accontentò di vincere salto in lungo e staffetta veloce. Straordinario il magiaro Tamas Darny, oro nei 200 e 400 misti del nuoto, come il mezzofondista autoctono Fermin Cacho nei 1500, o la francese Marie Josè Perec nei 400 piani, senza scordare il Settebello azzurro, che sconfisse in’epica finale proprio la Spagna, regalando una gioia (quale 6° e ultimo sigillo catalano) al popolo italiano, nell’estate della stragi mafiose al tritolo. Tutte performance emozionanti, ma nulla a confronto della strapotenza fisica, tecnica e d’immagine del Dream Team di basket (foto), la favolosa selezione Usa comprendente immensi fuoriclasse come Micheal Jordan, Magic Johnson, Larry Bird, Charles Barkley e altri, che monopolizzò l’attenzione globale, nella cornice di palazzetti sold out. Una kermesse festosa, proprio come il Dream Team, che premiò con 45 ori la Comunità Stati Indipendenti (Csi), in pratica le ex repubbliche sovietiche, per l’ultima occasione insieme, davanti ad americani (37) e tedeschi riunificati a 33, al sorgere di un decennio foriero di notevoli cambiamenti, e in vista dell’edizione del centenario ad Atlanta, nel 1996. (8- continua).

Larry Bird, Micheal Jordan ed Ervin “Magic” Johnson, le tre superstar del mitico Dream Team

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