
Nel corso dell’evento del Forum Energia Piemonte 2025, tenutosi in aprile a Torino, uno dei temi trattati è stato quello delle emissioni di metano in atmosfera. In quest’occasione è stato dato spazio alla presentazione dei dati della campagna nazionale C’è Puzza di Gas – Per il futuro del Pianeta non tapparti il naso di Legambiente ed in particolare al suo focus piemontese che ha monitorato 9 impianti della filiera gas in Piemonte.
Ma procediamo con calma. Cos’è C’è Puzza di Gas? Si tratta di una campagna nazionale, nata in collaborazione con l’Environmental Investigation Agency nell’ambito della Methane Matters Coalition, con cui si vuole porre l’attenzione sul problema delle dispersioni di metano dalle infrastrutture della filiera del gas naturale.
Perchè tutta questa attenzione al metano? La risposta è semplice: il metano contribuisce significativamente al riscaldamento globale. Infatti, questo gas ha un potere climalterante, nei primi 20 anni, fino a 86 volte maggiore della CO2. Per questo motivo, l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) valuta che ad esso sia attribuibile oltre un terzo del riscaldamento globale e inoltre classifica la riduzione delle fuggitive di metano come il terzo strumento, dopo solare ed eolico, in termini di efficacia e costi nel raggiungimento degli obiettivi climatici.
A questo si aggiunge che le dispersioni di metano lungo la rete rappresentano chiaramente uno spreco di risorse energetiche ma anche un rischio per la nostra salute e per l’ambiente. Infatti, in presenza di luce solare, il metano contribuisce alla formazione dell’ozono attraverso reazioni chimiche con gli ossidi di azoto (NOₓ) e altri composti organici volatili (VOC). A tal proposito, l’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) ha dichiarato che alti livelli di ozono, a livello del suolo, sono spesso associati a malattie respiratorie e mortalità prematura. Mantenere i livelli di questo gas al di sotto delle soglie stabilite dalle Linee Guida sulla qualità dell’aria stabilite dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, quindi, permetterebbe di prevenire potenzialmente, al livello UE, circa 70.000 morti premature all’anno. Inoltre, in termini di biodiversità, sempre secondo l’EEA, l’ozono rallenta la crescita della vegetazione, con danni alle coltivazioni alimentari, in Europa, stimati intorno ai 2 miliardi di € annui.
Tutto questo dimostra l’importanza, quindi, di valutare attentamente e ridurre le dispersioni di metano in ambito nazionale e regionale. Ecco perché, dal 2022 Legambiente ha monitorato ben 75 impianti a gas tra Sicilia, Basilicata, Campania, Abruzzo, Piemonte e Lombardia. Di questi, in ben 52 sono state trovate emissioni significative per un totale di 274 punti di emissione. Numeri decisamente alti che necessitano di attenzione.
Ma andiamo nel dettaglio di ciò che è stato fatto: sono state monitorate le concentrazioni in termini di ppm*m (parti per milioni per metro) di metano presso tutta una serie di componentistica (es. tubi, flange, bulloni, valvole, sfiati, …) della rete di distribuzione. campagna è stata compiuta utilizzando come strumento di misura un ’naso elettronico’. Si tratta di uno strumento che sfrutta le caratteristiche del metano, ed utilizza la tecnologia di assorbimento a infrarossi. Il raggio laser viene diretto sui bersagli, ovvero la componentistica su cui compiere la misura, e lo strumento che riceve il raggio riflesso dal bersaglio, misurando l’assorbenza del fascio è in grando di calcolare la densità della colonna di metano in ppm*m.
Ecco, quindi, che in marzo la campagna nazionale è approdata in Piemonte effettuando il monitoraggio su 9 impianti della filiera gas concentrati tra le aree di Torino, Domodossola e Novara. E, secondo i dati preliminari dello studio, purtroppo, anche qui sono state individuate emissioni non trascurabili.
I dati raccolti dalla campagna, attraverso le analisi, dimostrano che si tratta di un tema legato in parte allo stato di manutenzione della filiera di trasporto di metano.
Si tratta di una tema importante su cui l’Italia è chiamata a fare la sua parte all’interno del regolamento europeo sulle emissioni di metano nel settore energetico, che prevede, tra il resto, l’obbligo di riparare e/o sostituire le componenti emittenti in base alla “grandezza” dell’emissione. La presentazione di questi risultati è, quindi, l’occasione per sottolineare che è fondamentale l’opera di monitoraggio e controllo delle dispersioni puntuali per qualificare e quantificare le perdite.
Ricordiamo, infatti, che l’Italia, nel 2021 in occasione della COP26, si è impegnata a ridurre le proprie emissioni di metano, firmando il Global Methane Pledge, un accordo volontario cui hanno aderito più di 150 Paesi con l’obiettivo di ridurre le emissioni di questo gas climalterante di almeno il 30% entro il 2030.
Però è necessario contestualizzare meglio. Infatti, è importante ricordare che le emissioni di metano provengono oltre che dai settori energetici ed industriali soprattutto dai settore agricoltura e rifiuti. L’Inventario nazionale delle emissioni di gas serra pubblicato da ISPRA evidenzia, infatti, che nel settore agricolo i due terzi delle emissioni di gas serra sono associati al metano prodotto dagli allevamenti, e nel settore dei rifiuti è rilasciato metano dalle discariche in cui sono accumulati milioni di tonnellate di rifiuti organici. Nel settore energetico, invece, le emissioni arrivano dalle perdite di metanodotti e impianti.
È importante sottolineare che queste ultime hanno fatto registrare una riduzione pari al 12,9% del totale delle emissioni del nostro Paese. Purtroppo, nonostante questo importante risultato nel settore energetico, l’andamento delle emissioni è decisamente sconfortante. Analizzando, infatti, i dati del primo triennio dal 2020, come Italia stiamo contribuendo troppo poco all’obiettivo del Global Methane Pledge, ed in termini relativi il peso del metano nel bilancio dei gas climalteranti è in allarmante crescita, poiché non calano le emissioni dei due principali settori emissivi, agricoltura e rifiuti. Quindi, nonostante si registrino significativi miglioramenti, la strada per il nostro paese risulta ancora lunga.
Chiara Busto