Esiste una piccola comunità che vive con noi e che ha proprie regole, usi e costumi; è la comunità dei sordi. E’ così che vogliono e devono essere chiamati; la definizione di non udenti contiene infatti un elemento negativo che non traduce correttamente un modo di vivere profondo e diverso.
In generale la sordità viene vissuta come una differenza nell’ambito della pluralità delle esperienze umane piuttosto che una disabilità ed una malattia. La comunità nella provincia di Novara conta un centinaio di persone.
Si tratta di una comunità ma meglio di una minoranza linguistica; sì perché la Lis, la lingua dei segni italiana, è una lingua a tutti gli effetti, semplicemente veicolata attraverso il canale visivo gestuale, anziché quello acustico verbale.
Nel 1960 William C. Stokoe pubblicò “La struttura della lingua dei segni. Un profilo del sistema di comunicazione visuale dei sordi americani”. Il saggio ebbe un effetto dirompente perché per la prima volta in modo autorevole e con un approccio scientifico si dimostrò che le lingue dei segni sono lingue a tutti gli effetti, al pari di quelle vocali. Il ritardo della presa di coscienza di questa realtà è di 2500 anni se è vero che già Platone aveva studiato il linguaggio dei segni dei sordi e lo riteneva adatto ad esprimere sia i pensieri che i sentimenti.
Come ci ha spiegato Stefania Natalicchio, Docente Nazionale della lingua dei segni, da tantissimi anni impegnata attivamente nel nostro territorio per la valorizzazione e promozione della lingua dei segni, la Lis non si avvale di semplici gesti, ma di segni che rappresentano parole; la Lis ha una propria grammatica e sintassi.
La lingua dei segni italiana è diversa da quella degli altri paesi; ha proprie regole, segni, strutture, anche se è vero che è stata elaborata una lingua dei segni “internazionale” con ambiti specialistici, ma di tipo “artificiale”, che non ha sostituito le singole lingue nazionali.
Anche la Lis registra lievi differenze al suo interno tra regioni e regioni, diremmo impropriamente una sorta di dialetto specifico, che però non è assolutamente di ostacolo alla comunicazione.
Le nuove tecnologie hanno aiutato questa comunità a fare rete e via via il riconoscimento dei diritti di questa piccola minoranza linguistica si sta affermando.
Il nostro territorio appare però poco sensibile al tema della sordità ed alla lingua dei segni, rispetto ad altre province del Piemonte o italiane.
Naturalmente vi sono delle eccezioni, come ad esempio la Cappella Musicale del Duomo di Novara che si è resa disponibile alla sperimentazione della traduzione delle canzoni con il linguaggio dei segni. Lo stimolo parte dall’esperienza internazionale del Coro Manos Blancas ideato da Naybeth Garcia e Jhonny Gomez che hanno fortemente creduto alla musica come espressione dell’anima. Un modo coinvolgente di fare musica che consente di esprimersi attraverso coreografie del corpo e delle mani indossando guanti bianchi.
Nel corso degli anni anche alcune scuole hanno sostenuto queste sperimentazioni, ma sono stati casi rari ed occasionali.
Stefania Natalicchio crede che si possa e si debba fare di più e meglio nella nostra città e nella nostra provincia per avvicinare soprattutto i più giovani a questa realtà e a questa lingua, per recuperare il ritardo: imparare il valore del silenzio, imparare a vedere i dettagli invece di guardare solamente, imparare altri linguaggi quali quello visuale oltre a quello verbale, imparare il rispetto per il corpo proprio ed altrui e il valore degli altri e della diversità, rappresenta una occasione di crescita per tutti e sarebbe un vero peccato se il nostro territorio perdesse queste opportunità di ampliamento degli orizzonti cognitivi e spirituali.