Incontro con l’autore: intervista a Fabio Sottocornola

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  • Ultima modifica dell'articolo:16/05/2023
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La strage al tritolo datata 12 dicembre 1969, che causò 17 vittime e un centinaio di feriti di varia entità, riemerge in tutta la sua drammaticità nelle pieghe del libro 12 DICEMBRE 1969 – LA PERDITA DELL’INNOCENZA, concepito da Luigi Lusenti e Fabio Sottocornola, ed edito da Calibano, riportando l’orologio della storia a quel funereo venerdì pomeriggio milanese, a ridosso del Natale. La mattanza che inaugurò i lugubri “anni di piombo”, e che per i lettori di queste pagine online sarà focalizzata da Sottocornola, giornalista economico del Corriere della Sera, al quale rivolgeremo qualche domanda.

Buongiorno Fabio, cosa ha spinto lei e il suo collega a pubblicare un libro dedicato all’eccidio di piazza Fontana?

“Il nostro intento era sostanzialmente quello di verificare la memoria collettiva a 53 anni dalla strage, oltre a capire cosa significasse vivere in quel clima di “strategia della tensione”, e quindi abbiamo cominciato a carpire delle testimonianze interessanti. Il sottotitolo è … la perdita dell’innocenza, dato che quella mattanza, a 24 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, generò una ferita non ancora rimarginata, e molte storie delle persone intervistate partono da lì: per esempio, Susanna Camusso ci rivelò che volle entrare nel sindacato, e Guido Salvini in magistratura. Abbiamo interpellato anche dei giovani, che ovviamente non vissero quei fatti in presa diretta, alcuni dei quali hanno intrapreso degli studi personali, mentre il nostro libro speriamo serva a una “manutenzione” della memoria globale, che si sta annacquando”.

Potrebbe spiegare, magari ai lettori meno informati, cosa significò quella bomba occultata nella Banca Nazionale dell’Agricoltura, qualche mese dopo l’allunaggio dell’Apollo 11 americano?

“L’entusiasmo collettivo per la conquista della Luna, in luglio, e il 12 dicembre l’orrenda strage, quale rovescio della medaglia. Un fatto italiano quell’ordigno, con dei riverberi internazionali, accaduto un venerdì pomeriggio in prossimità del Natale, all’interno di una banca frequentata da contadini, mezzadri e proprietari terrieri, tutte persone distanti dall’alta finanza. In ragione di ciò, chi piazzò la bomba cercava a tutti costi il sangue, per impressionare l’opinione pubblica. Occorre inoltre contestualizzare quel periodo di mobilitazione sociale; l’anno precedente si visse la massiccia contestazione studentesca, si stava poi trattando il contratto dei metalmeccanici, e l’asse politico nazionale tendeva a sinistra. In sintesi, quella cosiddetta strategia della tensione, voleva destabilizzare la società incutendo paura, per stabilizzare il sistema, tentando magari un colpo di Stato, sulla falsariga dei colonnelli in Grecia. In quel 1969 eravamo un Paese fragile, inserito nell’Alleanza atlantica, ma con una democrazia di appena 25 anni”.

I depistaggi, la pista anarchica e la morte di Pinelli. Perchè avvenne tutto ciò, secondo lei?

“Sì, all’inizio si seguì da subito la pista anarchica, sviando pericolosamente le indagini, con l’arresto di Pietro Valpreda, anarchico e ballerino per vocazione, quindi il … perfetto colpevole, e il fermo di Pino Pinelli, il quale volò giù dal quarto piano della Questura milanese, in circostanze mai chiarite. Indagini senza fondamento, presto smontate dalla società civile e da giornalisti d’inchiesta. Una tattica determinante quella del depistaggio, messa in atto essenzialmente per guadagnare tempo prezioso, come ad esempio le udienze dei vari processi per la strage, fisicamente spostati da Milano a Roma e quindi a Catanzaro, a oltre mille km dalla sede di competenza territoriale, in sienrgia a tante altre manovre losche!”.

Ordine Nuovo e i servizi segreti deviati. Ci potrebbe ragguagliare in merito?

“Sicuramente ora sappiamo che Ordine Nuovo, l’organizzazione neofascista poi sciolta per decreto nel 1973, si macchiò della carneficina di piazza Fontana: più precisamente le cellule venete, facenti capo a Franco Freda e Giovanni Ventura, sono state giudicate responsabili. I due però non vennero mai condannati, in quanto assolti per insufficienza di prove in prima istanza, e sulla base del principio giuridico Ne Bis In Idem, ovvero che una persona non può esser processata due volte per il medesimo reato, non proseguì l’iter nei loro confronti. In ogni caso la verità storica è ampiamente accertata, ed è quella che ormai conosciamo tutti quanti”.

Un ordigno quindi di appurata matrice neofascista, per il quale scaturirono sentenze vergognose. Può chiarire meglio questo aspetto fondamentale?

“Si sicuramente emersero delle sentenze raccapriccianti., fra assoluzioni, fughe all’estero e pene lievissime. Dalle testimonianze raccolte, emerge la giustizia come elemento centrale; esiste una … giustizia negata, ossia uno Stato che non emette verdetti in tempi rapidi, come nel caso di piazza Fontana. Nella percezione collettiva rimane un senso di vuoto, di manchevolezza, insieme alla necessità di risposte certe, per tutelare e proteggere i cittadini”.

A distanza di 53 anni, quale ritiene sia il lascito di quei morti innocenti?

“La risposta più attendibile si trova all’interno delle testimonianze. Persone che ci han confidato di aver manifestato contro lo Stato dopo la strage, ma che ora si riconoscono nell’importanza delle istituzioni, a salvaguardia della collettività. Per quanto riguarda me e Luigi, ci piacerebbe che su piazza Fontana ci possa essere una memoria condivisa, alla stregua di altri fatti tragici avvenuti dopo. Quale esempio, per l’ordigno alla stazione di Bologna (1980), si stanno ancora celebrando i processi; il nostro auspicio è che non si abbassi mai la guardia, a tutela delle istituzioni democratiche e repubblicane, onorando così quelle vittime innocenti”.

Nel ringraziarla, le lascio la parola, se volesse aggoungere qualcosa!

“Si vorrei aggiungere che il nostro Paese non ha operato come il Sudafrica, dopo l’Apartheid, dato che da loro venne istituita la Commissione su verità e giustizia, quanto meno per riabilitare i rei alla vita sociale e politica. Un percorso virtuoso, mentre da noi rimangono dei coni d’ombra, che non favoriscono un percorso storico condiviso”.

Per chi fosse interessato, martedì 30 maggio alle ore 20.45, presso In Villa, corso Roma 120 – Trecate, i due autori presenteranno al pubblico la loro opera letteraria.

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