
Alcune realtà camerali piemontesi, con il coordinamento di Unioncamere Piemonte e la collaborazione di Ecocerved, favoriscono la conoscenza e la diffusione dell’ economia circolare e promuovono le “buone pratiche di economia circolare e sostenibilità” delle PMI piemontesi. Il servizio è offerto nell’ambito del progetto regionale FdP Sostenibilità ambientale, volto ad accrescere le competenze regionali in tema di economia circolare e sostenibilità.
Ma cos’è una buona pratica? Per ‘pratica’ si intende un modo particolare di fare qualcosa, una procedura o un’attività, il cui obiettivo è migliorare la qualità e la sicurezza di una condizione o situazione problematica o rischiosa. La buona pratica deve avere, come effetto, un miglioramento rispetto alla situazione di partenza e la sua efficacia deve essere quantificata.
Gli elementi che caratterizzano le buone pratiche sono tre: il carattere innovativo, ovvero la capacità di produrre soluzioni nuove o che interpretino in modo creativo soluzioni già sperimentate, la trasferibilità e la replicabilità cioè la possibilità di riprodurre aspetti del modello proposto in altri contesti o di applicarli alla risoluzione di altri problemi. La Buona Pratica, grazie alla sua replicabilità, permette dunque il raggiungimento degli obiettivi di efficienza e di qualità e fa riferimento a casi di successo, che possono essere utilizzati come spunto per interventi analoghi anche in realtà differenti. Parlare, quindi, di buona pratica in ambito di economia circolare e sostenibilità significa far riferimento ad un’esperienza di impresa che applica, anche solo in una singola procedura, un metodo coerente con i principi di circolarità, in termini di scelta di materie prime, efficienza dei processi produttivi, riciclo, e via dicendo.
Nell’ambito del progetto di raccolta delle buone pratiche di economia circolare sul proprio territorio, Unioncamere Piemonte ha individuato un caso esemplare di sostenibilità. Si tratta di “Ricecycling Wall, la parete fatta di natura” della Sarotto Group, un’azienda del settore edile con sede a Narzole (CN). Tale iniziativa è stata avviata nel 2017 grazie a diverse collaborazioni con il Politecnico di Torino e alcune aziende quali Vicat, Isotech e Rice House e riguarda l’impiego di residui di lavorazione del riso per realizzare materiali utili per l’architettura. La motivazione che ha spinto la Sarotto in questa direzione è stata la convinzione di dover contribuire, come azienda, alla transizione ecologica, ponendosi l’obiettivo di passare a un modello di economia circolare per contenere il consumo delle risorse naturali, la produzione di rifiuti e il rilascio di emissioni climalteranti.
Ma, in che cosa consiste la buona pratica di economia circolare del Ricecycling Wall? Sarotto ha creato, per la produzione di pareti prefabbricate, una miscela ecologica costituita da legante naturale e aria in associazione alla lolla, un residuo della lavorazione del riso ovvero la buccia (30% del risone). La lolla è una biomassa largamente disponibile in Italia, considerando che ben il 50% del riso europeo è italiano. La lolla è costituita da lignina, cellulosa e silicio ed ha importanti proprietà che possono essere utili ai fini costruttivi: non marcisce ed è resistente a muffe e parassiti.
Gli involucri edilizi costruiti con queste pareti, oltre ad avere un basso impatto ambientale, sono a loro volta riciclabili, a fine vita. Inoltre, hanno ottime caratteristiche dal punto di vista termico e strutturale: buon isolamento, comfort abitativo, resistenza al fuoco ecc. La sostenibilità di questa linea di produzione è legata, inoltre, alla capacità di generare benefici per gli imprenditori agricoli del territorio, consentendo loro di valorizzare i residui e garantendo continuità dei flussi.
Il valore aggiunto di questa soluzione è che la buona pratica è replicabile anche in altre realtà. L’esperienza della Sarotto Group, infatti, è facilmente trasferibile ovunque si coltivi e lavori il riso. Inoltre, ulteriori ricerche potrebbero contribuire a individuare nuove modalità di impiego della lolla di riso.
Chiara Busto