Se, come vi ho consigliato all’inizio del nostro percorso insieme verso la sostenibilità, avete fatto il test per conoscere la vostra impronta ecologica, allora saprete che il prossimo grande tema da trattare sono i rifiuti che ognuno di noi produce e il loro smaltimento. Tuttavia, credo non si possa parlare di ciò che esce dalle nostre case senza prima discutere di quello che vi entra.
Nella nostra società, e in generale nelle società occidentali, la parola d’ordine è consumismo. Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, siamo bombardati da pubblicità che ci spingono a comprare, comprare, comprare, facendoci credere di avere la necessità di possedere il nuovo modello di cellulare, gli abiti all’ultima moda, o i gadget più disparati. Quanto di tutto questo usiamo davvero, e quanto finisce nel dimenticatoio, nel fondo dell’armadio o in uno scatolone in cantina, perché “non si sa mai quando potrà servire”, anche se sappiamo bene che non lo useremo mai? E quanto, di tutto questo, finisce buttato?
Negli ultimi anni mi sono resa conto in prima persona di quanta roba si accumula in una casa. Per me, tutto è cominciato quando ho letto un libro che è tuttora tra i miei preferiti: “La città della Gioia” di Dominique Lapierre. Per chi non lo conoscesse, è la storia di un prete cattolico che decide di trasferirsi in una baraccopoli indiana, soprannominata appunto la città della gioia, e di condividere lo stile di vita dei suoi abitanti, che a malapena riescono a permettersi di mangiare una volta al giorno, e a volte si trovano costretti a fare a meno anche di quello. Eppure, quel poco che hanno, lo condividono con un sorriso, e riescono a trovare la felicità nelle piccole cose, nonostante siano circondati dalla miseria.
Questo romanzo mi ha talmente colpita che ho iniziato a prestare attenzione a tutto quello che mi circondava, a vederlo davvero. È stato in quel momento che ho capito quante cose inutili possedessi, cose che avevo accumulato nel corso degli anni, che avevo acquistato per capriccio, o perché erano in offerta e sembravano un affare. Tante cose che invece di rendermi felice e di migliorare la mia vita la rendevano più caotica, più stressante.
Noi esseri umani moderni viviamo in una società che spinge al consumo smodato, dove chi possiede di più è invidiato perché percepito come migliore, più ricco, più felice. Se hai più soldi, vivi meglio; se hai la macchina costosa, sei realizzato; se hai la casa grande, hai tanto spazio e puoi riempirla con tutte le cose che compri. Se hai di più, sei appagato. Ma è davvero così? Iniziavo a pensare che non lo fosse, così ho iniziato a sentire il bisogno di semplificare la mia vita.
A quel punto, su YouTube, mi sono imbattuta nel primo video che riguarda quella cosa a volte portata all’estremo, a volte demonizzata, che è il minimalismo. Per chi ha letto la parola “minimalismo” e ha iniziato a soffiare come un gatto infastidito, vi dico subito che nella mia casa ci sono ancora tutti i mobili, che il mio armadio non è vuoto e che ho ancora molti più libri di quanti la mia libreria ne dovrebbe contenere per la sua stabilità strutturale. Ho preso solo quello che mi serviva da questo stile di vita, niente di più, niente di meno. Senza obblighi, senza giudizi, senza estremizzazioni.
Un poco alla volta, ho iniziato a fare ordine nella mia casa, quello che in gergo si chiama “decluttering”. Un po’ seguendo il metodo di Marie Kondo, un po’ andando a sentimento, mi sono liberata di tante di quelle cose di cui non avevo bisogno da sorprendere pure me stessa. Vestiti che conservavo dai tempi delle scuole medie e che non mi andavano più, aggeggi di cucina mai usati, cd, dvd, scatole e scatole di cartacce (comprese bollette dei miei nonni che risalivano – non scherzo! – agli anni Settanta), ma soprattutto quelli che io chiamo “prendi-polvere”. Soprammobili vari collezionati in anni di viaggi, ereditati, regalati da qualcuno, o acquistati così, perché erano carini. Il vantaggio più immediato dell’essermi liberata di gran parte – non tutto, ho tenuto solo un paio di cosine a cui ero legata in modo particolare – di questa categoria, è il fatto, appunto, di non doverli spolverare. Non sapete che meraviglia!
Arrivati a questo punto vi starete probabilmente chiedendo cosa tutto questo abbia a che fare con la sostenibilità, e ora ve lo spiego. Per prima cosa vi dico che, quando parlo di “liberarmi” di cose che non voglio più, non intendo buttare via. Ci sono molti modi per dare una seconda vita alle cose, vestiti o oggetti che siano, come dimostrano le numerose app che negli ultimi anni sono spuntate come funghi, segno di una sempre maggiore consapevolezza verso il problema dello spreco. Personalmente, io porto il mio usato a un mercatino che lo rivende, e se lo rifiutano c’è sempre l’opzione di donarlo, in modo che non finisca in discarica.
In secondo luogo, ora che mi sono ridimensionata, sono molto più serena e ho tutto l’interesse a restare così. Per questa ragione ho cambiato il mio modo di vivere, adottando una nuova filosofia di vita che si basa sulla necessità, più che sulla ricerca della gratificazione, spesso solo momentanea, che gli acquisti impulsivi regalano. Questo mi permette non solo di avere controllo su cosa entra in casa mia, ma anche di risparmiare denaro, quindi tempo. Perché, ricordiamocelo, il denaro che è alla base del nostro sistema economico, è in realtà il nostro tempo; tempo che passiamo seduti a una scrivania, invece che insieme alla nostra famiglia, o in una fabbrica, invece che su una spiaggia.
Se contiamo il valore delle cose in tempo, invece che in denaro, ci rendiamo conto del loro vero costo. Quante ore di lavoro, quanti giorni, servono per comprare, chessò, l’ultimo iPhone? Serve davvero avere l’ultimo modello, quando quello che abbiamo in nostro possesso è sì, magari un pochino obsoleto, ma funziona ancora perfettamente? E quanto ci vuole prima che il senso di soddisfazione che proviamo nel possederlo svanisca, e iniziamo a desiderare qualcos’altro?
Non è facile liberarsi dalle catene del consumismo, e capita anche a me di ricaderci, a volte, ma faccio del mio meglio per evitarlo, e come conseguenza la mia salute mentale ne ha colto tutti i benefici. Passo meno tempo a mantenere pulite e in ordine le cose che ho, perché ho meno cose; non mi stresso più per frugare nell’armadio alla ricerca di qualcosa da mettermi, perché possiedo solo vestiti che so come combinare e che mi fanno sentire a mio agio; se cerco qualcosa, non perdo tempo a ravanare tra pile di cianfrusaglie o a scervellarmi per capire dove l’ho messa, perché so dove si trova ogni cosa.
Per semplificare, voglio circondarmi di cose che mi rendono felice, non cercare la felicità circondandomi di cose.
E ora, veniamo ai consigli pratici:
Conta fino a dieci prima di comprare. Di solito si dice di contare fino a dieci prima di parlare ma, secondo me, sarebbe utile farlo, simbolicamente, anche prima di acquistare qualcosa. Una tecnica per non fare acquisti impulsivi è, per esempio, mettere l’oggetto dei nostri desideri in una lista virtuale e attendere qualche giorno, o qualche settimana. Se allo scadere del tempo che ci siamo dati siamo ancora convinti che quella cosa possa esserci di beneficio, allora possiamo acquistarla, altrimenti la depenniamo.
Non comprare a caso. Un’altra pratica utile è quella di fare delle ricerche sul prodotto che intendiamo comprare, in modo da essere sicuri di sceglierne uno con le caratteristiche che ci servono veramente e di poterlo usare bene, invece di doverlo sostituire in breve tempo. Bisogna inoltre ricordare il detto “chi meno spende, più spende”. È importante infatti essere sicuri di investire in qualcosa che possa durare, anche se costa un po’ di più, invece di comprare la stessa cosa dieci volte perché continua a usurarsi o a rompersi.
Ricorri all’usato o al noleggio. Fortunatamente si sta diffondendo sempre di più l’abitudine di comprare usato, in modo da prolungare la vita di un oggetto, e di noleggiare cose che, lo sappiamo, ci serviranno solo per un breve periodo di tempo. Un esempio perfetto, per me, sono i libri. Non sento più la necessità di possederli, e soprattutto di acquistarli prima ancora di leggerli, quando posso comodamente prenderli in prestito in biblioteca. Compro soltanto i libri che mi piacciono veramente tanto, in modo da sostenere l’autore che li ha scritti e da averli sempre a portata di mano e di occhi. Perché, diciamocelo, a quale lettore non piace avere una bella libreria colma dei suoi libri preferiti? A me, dona gioia.
Regala (e fatti regalare) esperienze. Chi mi conosce ormai lo sa, io non faccio mai, o raramente, regali materiali. Invece di comprare qualcosa, correndo il rischio che non piaccia o non venga utilizzato, per il compleanno della mia amica preferisco portarla al ristorante, o alla spa, o in gita da qualche parte. In questo modo resta per sempre il ricordo di un’esperienza condivisa, del tempo passato insieme. A Natale, invece di regalare pacciami, preferisco fare a mano biscotti di pan di zenzero e donarli alle persone a cui voglio bene, così che sentano tutto il mio affetto. Quando viaggio, come souvenir, porto a casa prodotti tipici che posso consumare, in un certo senso prolungando la vacanza, e regalare, dandone così un assaggio anche ai miei cari.