A distanza di anni, o verosimilmente di qualche lustro, mi sono gustato il Presepe allestito nella chiesa parrocchiale di Trecate, dedicata a Santa Maria Assunta. Nei Settanta e negli Ottanta della mia infanzia e dell’adolescenza, l’appuntamento con la rievocazione della nascita di Gesù Bambino risultava immancabile; la nonna mi accompagnava con puntualissima regolarità, e talora ci andavo insieme a mia mamma o con i compagni di scuola. I miei occhi sognanti ammiravano quelle statuine gigantesche, i geniali e incredibili giochi di luci, le montagnole di cartapesta e lo scorrere autentico dell’acqua, atto a richiamare (ipotetici) torrenti e fiumiciattoli di Betlemme. Opere d’artigianato d’eccellenza, che io tentavo goffamente d’imitare fra le mura domestiche, adoperando la carta stagnola quale laghetto, mucchietti di muschio sintetico sparpagliati e il cotone per la neve, in sinergia a personaggi di varie dimensioni, collocati a piacere; visioni e ricostruzioni di un bimbo, ma che comunque inquadravano una nitida predilezione per il nostrano Presepio, rispetto all’Albero di Natale d’origine nordica. Un’enfasi personale che fisiologicamente si è dissolta con il tempo, sebbene la magia del Presepe rimanga inalterata, tanto che la visione del Bambinello, della Sacra Famiglia e della (semplice) messa in scena globale mi hanno riscaldato il cuore; il tutto sublimato dai cambi di luminosità, per definire e distinguere il chiarore del giorno, il tramonto e la notte. Un’emozione dall’aroma antico, che mi auguro abbiano assaporato in tanti all’interno della “chiesa grande”, attenendoci scrupolosamente alla definizione popolare: in caso contrario affrettatevi, prima che venga smontato.
Germano Galli