Inizia il mio percorso all’interno delle sale dell’Accademia del Broletto, e mi trovo all’improvviso a camminare dentro le opere di Francesco Ingignoli: un Polittico di nove formelle quadrate monocrome. Sembrano piccole città ideali in cui la geometria si frantuma in una texture di pieni e di vuoti, triangoli e quadrati che muovendosi nello spazio lasciano tracce di sè. Come nella scrittura Braille il senso del tatto viene stimolato da questi rilievi, tanto che mi verrebbe voglia di toccarli per leggere l’opera a occhi chiusi. Camminando lungo le strade di ogni formella, immagino quartieri abitati da chissà quali inquilini, molto educati, precisi, quasi un mondo perfetto dai colori pastello, dove ogni cosa ha il suo posto, ma uscendo da questo luogo vengo rapita da un’immagine: una donna mi guarda con insistenza alzando la mano: è un’opera di Grazia Barbieri.
Mi avvicino e noto che questa donna dipinta ha le stimmate nella mano sinistra: una mano in rilievo. E’ una donna crocifissa alla sua Arte. Sì, perché l’Arte spesso è sacrificio, ma qualcuno si deve pur immolare al ruolo d’artista per il bene dell’umanità. Dalla ferita sgorga un rivolo dorato, forse il segno della preziosità di chi fa un mestiere manuale, esegue ciò che l’occhio osserva attraverso il cuore. Una mano alzata come a scuola per comunicare qualcosa, o forse una richiesta d’aiuto. Il soggetto indossa una camicia bianca, simbolo di purezza, e si staglia luminosa da uno sfondo neutro. Mi osserva col suo sguardo rassegnato, forse provocatorio, quasi a sussurrare: “E’ un volo a planare, per essere inchiodati qui, crocifissi al muro, ma come ricordarlo ora…”. E quindi mi viene in mente la Bertè.
Mi volto e si apre una porta: è la casa di Giuseppe Atanasio Elia. Nella prima “stanza” dell’opera un uomo diviso tra due realtà, e sogno che mi apre le porte di casa propria, e mi accoglie seduto su un letto: che modo insolito di accogliere gli ospiti, chissà cosa direbbe Csaba della Zorza! Mi racconta dinamiche notturne aprendo finestre sul vissuto, in cui si avverte un certo gusto per la vita. Le due opere sembrano fotorammi di un film, create con pannelli sovrapposti, in cui la fotografia viene a contatto con la materia pittorica. Quando scende la notte la casa si trasforma, e assume nuovo sapore.
Fine della proiezione, esco da questa casa e all’improvviso sento un gran vociare: discorsi aggrovigliati provengono dalle opere di Domenico Minniti. Parole alla deriva, linguaggi accatastati in montagne di rifiuti; forse parole che non vogliamo più sentire, o dimenticate. Opere come mondi in cui tutti parlano, ma in cui il tempo è sovrano, è un sole nero e malato che osserva immobile. In un’altra tela s’intravede una figura umana; è graffiata da tante parole, alcune sussurrate e alcune urlate. L’arte di Minniti è un “segnare la rotta” attraverso un mare d’informazioni. Solo gli sfondi sembrano ridare un pò pace con dei colori opalini, in cui il silenzio ci invita alla riflessione. Allora chiudo gli occhi e il mio olfatto è attirato da una fragranza che aleggia nell’aria: profumo di purezza, d’eleganza.
Proviene dall’ultima sala: sono le opere di Liala Polato. “Re e Regina di cuori”, due grandi sculture geometriche a forma di cuore, che mi rimandano alla mente boccette art deco, di profumi fuori scala. Mi immagino un profumo per lei e uno per lui. “Regina di cuori, tra mille colori”, cantava Piero Pelù, ma le due sculture sono costruite con materiale traslucido incolore; me le immagino illuminate come forme antropomorfe, arrivate da un altro pianeta. Le due “ampolle” si posano delicatamente a terra attraverso un piedistallo, e sembrano quasi sospese. Quale modo migliore per concludere questo percorso sensoriale; due gocce d’Arte e si riparte, verso nuove avventure!!
Sara Soattini