Le elezioni politiche adesso sono davvero alle spalle, e come tradizione i numeri scaturiti all’atto dello spoglio difficilmente mentono.
Ci spiace perfino comunicarlo a madame Meloni, ma il primo partito italiano risulta quello dell’astensione, che si è attestato al 36.2%; in ogni caso, decisamente rilevante il 26% conseguito da FdI, per obiettività storica un movimento nipote in linea retta del fasc…, in un Paese democratico e occidentale, da quasi ottant’anni.
Un successo improntato sull’empatia della leader, in grado di catalizzare più di altri le istanze della gente, e mettere in fila Pd, M5S, Lega, FI e a seguire altre formazioni.
Inutile a questa stregua evocare i grandi e (a seconda) credibili esponenti del passato, come Aldo Moro, Enrico Berlinguer, Bettino Craxi, Giorgio Almirante, Giulio Andreotti e pure Marco Pannella, ma evidentemente sussiste un profondo scollamento fra elettorato e classe dirigente; una frattura sempre più ampia e obiettivamente ardua da ricomporre, germogliata e cresciuta in decenni di populismo, crisi economica, qualità della vita al ribasso e demonizzazione dell’avversario.
Certo, pure nel 1948 lo scontro fra Dc e Fronte Popolare si palesò senza esclusione di colpi, fra rosari al vento e il verbo di Stalin, me penso che esista un abisso etico e politico fra i riferimenti dell’epoca, su tutti Palmiro Togliatti, Alcide De Gasperi e Pietro Nenni, rispetto agli onorevoli espressi dalla cosiddetta Seconda Repubblica, battezzata nel ’94 berlusconiano.
Ora non ci resta che attendere la nomina del (della) presidente del Consiglio e i relativi ministri, la sicura fiducia dei due rami parlamentari e quindi le (temibili?) reazioni dell’Europa, nella consapevolezza che il ’22 si conferma un anno … particolare, per la nostra Italia.
Germano Galli