– Enrico, parlaci un po’ di te
Da buon timido, ammetto che ho sempre qualche difficoltà nel farlo. Sono un persona qualunque, che ama scrivere. Da ragazzo ho capito che avrei dovuto cercarmi un lavoro che mi piacesse, quindi alla fine sono riuscito a fare il giornalista. Quando ho cominciato era il 1987, alla Notte di Milano, uno degli ultimi quotidiani del pomeriggio. Un’esperienza davvero di altri tempi, con tanto di tipografi che usavano i caratteri al piombo. Poi sono passato al Giorno, che era al terzo piano nello stesso palazzo. E con il tempo ho pubblicato qualche romanzo. Ho una moglie e una figlia di 11 anni, vivo a Milano
– Di cosa ti occupi oggi?
Sono tuttora giornalista al Giorno, dove ho fatto a lungo il cronista di città e qualche servizio all’estero. ma da un paio d’anni sono passato alla redazione web del quotidiano. Anche qui un’esperienza particolare, in cui ho dovuto imparare tutto da capo. Ma è stato stimolante. Mi piaceva l’idea di dedicarmi a qualcosa di nuovo negli ultimi anni di lavoro.
– Parliamo dei tuoi libri
Sono cinque. “Il pesce elettrico“ (Baldini e Castoldi), uscito nel ’96 e ripubblicato nel 2022 e nel 2019 da Giunti. “Tra Fès e Meknes“ (E/L), un lungo racconto del ’99. Poi “L’inventore dell’invisibile“ (Utet 2015), che è una biografia. “L’arte sconosciuta del volo“ (Giunti 2020) e appunto l’ultimo, “Lunedì mi innamoro“ (Giunti 2023). Che sto promuovendo tuttora. Cinque fatiche, ma che rifarei, per le soddisfazioni che mi hanno dato.
– Il tuo preferito?
I libri per me sono come i figli. Voglio bene a tutti allo stesso modo, in particolare i romanzi.
– Il 25 gennaio 2023 è uscito “Lunedì mi innamoro” per Giunti, da cosa nasce e cosa racconta?
Nasce dal desiderio di raccontare i miei vent’anni negli anni’80, che erano molto diversi dai vent’anni di oggi. Anzitutto perché non esistevano né il web né i social, e quindi ci si incontrava di persona, anziché su uno schermo. E poi la musica di allora, straordinaria. Ma anche i libri e i tanti conflitti sociali, primo fra tutti la diffusione dell’eroina a basso costo che falcidiò intere generazioni.
– Qual è il tema del romanzo?
L’amicizia maschile. la sua forza, quando è vera, le sue potenzialità. le emozioni incredibili che restano nel tempo. Il libro è la storia di un grande amico, paolo, nel romanzo Febo, che mi lasciò molti doni, ma che si perse dei dedali degli stupefacenti. E’ la storia di un sentimento che travalica i confini del tempo e che si ripropone spesso anche nei sogni, come archetipo dell’esistenza stessa. Il tema sono anche gli amori e i sogni della giovinezza, la loro evoluzione nel tempo.
– Il romanzo si svolge tra la natura della Val d’Ossola e il collegio a Pavia, perché?
Sono luoghi dove ho vissuto realmente e dove sono cresciuto come uomo. Il collegio aveva cento stanze singole, con cento solitudini che si sfioravano, sfociando spesso in incontri che avrebbero generato grandi amicizie e sinergie, Un laboratorio dove si progettava il futuro, ogni giorno. In questo senso il collegio resta un luogo psichico, simbolico, prima che reale. Dove tutto può succedere, a seconda delle decisioni che ognuno prende, nella cornice delle proprie libertà.
– Quali sono oggi le tue passioni e/o hobby.
Noiosamente direi ancora la scrittura, che per me è più una passione che un lavoro, qualcosa che mi riconnette con i mondi interiori e con l’intimo più in generale. Ma amo moltissimo anche viaggiare. Ogni tanto ricapitolo i Paesi che ho visitato, per vedere se me li ricordo tutti, ma non è collezionismo, è la gioia di essere stato in posti così diversi. Elias Canetti, Nobel 1920, diceva che le città in cui si ha vissuto sono i quartieri della città in cui si muore.
– Progetti e obiettivi futuri?
Vivere in salute e invecchiare serenamente con le persone che mi sono care. Se capita, qualche nuovo libro, certo, ma solo nel momento in cui avessi qualcosa di serio e di nuovo, di importante da dire. Nel momento in cui ne avvertissi un’urgenza, insomma. Se no io e anche il mondo potremmo farne tranquillamente a meno, senza patemi per nessuno.